L'inviata del Corriere di Salerno, Raissa Pergola, con Stefano Accorsi
L’inviata del Corriere di Salerno, Raissa Pergola, con Stefano Accorsi

Salerno. Dopo l’Ariosto di due anni fa, Stefano Accorsi e Marco Baliani incontrano le novelle del Boccaccio con “Decamerone: vizi, virtù, passioni, in prima nazionale a Firenze, ma a Salerno come unica tappa del tour in Campania.

La redazione del Corriere di Salerno ha incontrato Accorsi e il resto della compagnia, durante la conferenza stampa, che ha avuto luogo ieri sera presso il Teatro “Verdi” di Salerno. Presenti anche diverse scolaresche, i piccoli Grifoni di Giffoni Valle Piana e il pubblico, a cui l’incontro era aperto.

La compagnia ha esordito annunciando in anteprima il prossimo spettacolo che verterà su Machiavelli, al momento in fase di elaborazione.

Accorsi spiega che: “La collaborazione con Baliani nasce dalla passione e dal talento del regista, dal desiderio di far scoprire i tesori della letteratura portandoli sulla scena, a seguito di un gran lavoro di drammaturgia e di riscrittura, durato circa nove mesi. Il progetto comprende una rosa di sette novelle, alcune delle quali compaiono anche nel Decamerone di Pasolini, a cui si fa riferimento nello spettacolo, semplificate nel linguaggio”.

La compagnia ha più svolte sottolineato il primato della parola, della narrazione sulla paura della morte, di una morte non tanto fisica, quanto morale e sociale.  Rispetto ai fatti accaduti in Francia, Accorsi si sofferma, infatti, sulla: “morte morale e l’importanza della satira e della libertà” e sul fatto che lo stesso Boccaccio già nel ‘300 “scrivesse testi di grande forza satiresca, molto attuali”. “La peste – continua Accorsi –  corrisponde a un morbo che ha contagiato la nostra morale. Raccontare è un modo per ritardare la morte, come accadeva nel Decamerone, ma anche per far rimontare la speranza”.

 

Le novelle del Boccaccio si rivelano, dunque, molto attuali, prestandosi bene a delineare un profilo sociale moderno.

Ben altro morbo oggi ci ammorba” scrive Baliani sui riferimenti del Boccaccio: inganni, intrighi, violenze che dal ‘300 per traslato diventano le violenze attuali sulle donne, i tagli alla cultura –  topico il momento scenico del taglio delle vesti del maestro per fare i costumi degli altri attori -, la crisi del teatro. Un nuovo modus vivendi, quello promosso dal Boccaccio e dagli attori della compagnia, alla luce di difficoltà concrete, pragmatiche, reali e molto attuali.

A riguardo, il Corriere chiede ad Accorsi: “Si è parlato della peste morale. Panfilo fugge da Firenze, quindi, da una realtà sociale travagliata: si assiste, infatti, a un periodo di ristagno economico, di recessione agricola, di crisi religiosa, si formano le compagnie di ventura. Panfilo è un uomo moderno, quanto è speculare all’uomo moderno e quanto la società dell’epoca, a questo punto, poco si distanzia da quella attuale?”

 “Sicuramente, il parallelo c’è anche dal punto di vista economico. Oggi probabilmente la situazione è più complessa: l’economia è globale ed è difficile, almeno per quanto mi riguarda, capire determinati meccanismi. La crisi che viviamo è in parte una conseguenza di questa economia globale. Panfilo fugge da una morte sociale. La commedia non propone comunque soluzioni, non c’è mai una morale, al massimo trapelano consigli. Raccontiamo una storia che ci faccia riflettere sul nostro presente. Noi attori stessi ci riflettiamo. L’inganno e l’arguzia sono soluzioni proposte e che non sono sempre moralmente corrette, bensì sono soluzioni che allungano la vita e che fanno sì che la vita e l’amore trovino strade alternative alla morte. Questa è la tematica principale di cui la crisi economica è una conseguenza, dal momento che scaturisce da una crisi prima di tutto identitaria, di valori. Il classico è tale perché non tramonta mai. Viaggia nel corso dei secoli, restando sempre autentico e attuale.”

Durante gli ultimi minuti della conferenza Accorsi si concentra sul binomio cinema-teatro. Il rapporto con il pubblico è immediato, diventa: “Un vero rito di evocazione che si traduce in un rapporto invisibile, ma concreto con il pubblico al quale trasmetti immediatamente determinate immagini evocative. L’immaginazione del pubblico diventa attiva. Al cinema hai bisogno di vedere quelle immagini, di calarti il più possibile nella realtà, non è metaforico. Al teatro basta una voce che racconta una storia e si comincia a vedere tutto”.

Raissa Pergola