EnergiaTre barriere da abbattere per far risparmiare alla Pubblica Amministrazione gran parte dei 6 miliardi di euro all’anno che paga di energia.

A lanciare la proposta è Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.

Secondo lo studioso sono sostanzialmente tre i fattore che impedirebbero allo Stato di risparmiare sul costo dell’energia.

La prima riguarda la “conoscenza”

“La Pubblica amministrazione – spiega Chiesa – non è consapevole dell’importanza della razionalizzazione dei consumi energetici. Ne è un esempio la mancata applicazione della norma sugli Energy Manager e il fatto che ad oggi poco meno del 20% dell amministrazioni pubbliche ne ha nominato uno”.

La seconda è di tipo “finanziario“.

“Deriva dall’impossibilità da parte della Pubblica Amministrazione di sfruttare le risorse economiche disponibili internamente, circa 13 milioni di euro secondo l’Anci, a causa del Patto di Stabilità – Per superare questo ostacolo, spiega lo studioso – esistono: due strade: l’accollamento, da parte del fornitore di servizi del finanziamento dell’intervento o il ricorso a fondi pubblici dedicati.Purtroppo però i Tee non posso essere ceduti a differenza di quelli utilizzati ad esempio nel fotovoltaico. “Di conseguenza, non rappresentano fonti di garanzia del credito e non contribuiscono a far ‘girare’ la liquidità necessaria”.

L’ultimo ostacolo è quello legato alla “fase realizzativa” dei progetti e alla scarsa capacità di coinvolgimento dei soggetti che operano nel settore, vale a dire i fornitori di servizi e soluzioni per l’efficienza energetica (in primis le Esco) ed i soggetti finanziatori.

“Le amministrazioni – prosegue il direttore – dovrebbero essere messe in grado di prendere iniziative e promuovere progetti innovativi. Per farlo sono necessari modelli contrattuali ‘nuovi’, sulla falsariga di quelli che le Esco applicano con i privati e un certo livello di decentramento a livello normativo”.

Le conclusioni per Chiesa sono presto tratte

“In un momento di forte recessione è naturale chi deve compiere un investimento, in particolare i soggetti industriali, si concentri più sul ‘core business’ piuttosto che su interventi a prima vista secondari ma comunque importanti. E’ un problema economico, certo, ma anche culturale”.